18 Febbraio, giornata della cima alla genovese

Marco Martini

Cima alla Genovese: tutto il gusto del “riciclo”

La pietanza di “recupero” della tradizione ligure è la protagonista di un storia tutta in crescendo che da piatto povero l’ha vista trasformarsi in prodotto d’eccellenza


Dalla nobile arte “del recupero” nasce la Cima alla Genovese, una pietanza povera ma sostanziosa che ha superato le barriere del tempo per diventare, oggi, uno dei piatti più particolari e deliziosi della tradizione ligure. La Tradizione Ennesima dimostrazione di come la “pratica del riciclo” in cucina possa dare vita a veri e propri capolavori gastronomici, la Cima alla Genovese è ormai diventata un ricco secondo piatto della tradizione ligure, di quelli da servire nelle grandi occasioni, specialmente nel capoluogo di regione. Eppure in tempi antichi questa elaborata ricetta veniva preparata al solo scopo di sfruttare ingredienti poveri e di recupero per non gettare via nulla. Ci si procurava un pezzo di carne della pancia di vitello, lo si utilizzava come fosse una tasca e lo si farciva con un ripieno a base di avanzi di macellazione, uova, verdura, formaggio e aromi tra cui l’immancabile maggiorana, localmente chiamata ‘pèrsa, considerata essenziale per la preparazione del piatto. Si sigillava il tutto con ago e filo e si bolliva nel brodo. La pietanza ottenuta vantava un equilibrio unico di profumi e di sapori che le hanno permesso di essere tramandata per generazioni tra le massaie fino a diventare un prodotto d’eccellenza locale. La denominazione Oggi la Cima alla Genovese vanta numerosi estimatori e la tradizione legata alla sua preparazione, ancora radicata nella cultura locale, le è valsa l’inserimento nell’elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali da parte del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.



Le caratteristiche Gustata come salume o come secondo piatto, la Cima alla Genovese si presenta come una grande tasca di carne con una ricca farcitura preparata con parti di animale quali animelle, cervella, testicoli, poppa, schienale e polpa di vitello insaporite con spezie, aromi e verdure, come aglio, funghi, zucchine, carote, piselli e carciofi ed amalgamate con formaggio e uova. Il ripieno non deve mai superare i 2/3 della tasca, altrimenti durante la cottura potrebbe fuoriuscire. Una volta cucita, lessata nel brodo vegetale, pressata e lasciata freddare, la Cima viene tagliata a fette che prendono una caratteristica forma simile a quella di un occhio. La produzione Un tempo preparata quasi esclusivamente in casa, oggi la Cima alla Genovese viene prodotta anche industrialmente durante tutto l’anno e venduta, non soltanto entro i confini della regione, come salume cotto. Per chi desidera cimentarsi nella sua preparazione, a Genova non mancano i macellai disponibili a fornire preziosi consigli per ottenere ottimi risultati, e presso i quali è possibile acquistare la cosiddetta “pelle” (il taglio della carne adatto per creare la tasca) e le frattaglie da utilizzare per il ripieno.



La cultura Il particolare aspetto che prendeva la Cima una volta tagliata, che si presentava come un vero trionfo di colore racchiuso in una delicata cornice dalle sfumature più chiare ed uniformi, è valso alle sue fette l’appellativo di éuggio, che significa, appunto, “occhio”. In cucina A causa della sua particolare natura di ricetta “di recupero”, la Cima alla Genovese veniva di volta in volta preparata con ingredienti differenti a seconda della disponibilità e della stagionalità, come nel caso delle verdure. La poppa ed i testicoli, ad esempio, talvolta venivano sostituiti con della carne di maiale, e non mancava chi aggiungeva alla farcitura anche dei pinoli. Oggi questa sua versatilità ha permesso di crearne delle varianti più affini ai gusti attuali e più leggere e digeribili. In ogni caso, per apprezzare al meglio questa pietanza saporita e sostanziosa, una delle soluzioni ideali è di servirla in tavola accompagnata dalla sfiziosa salsa verde genovese, chiamata anche bagnetto La ricetta: Cima alla Genovese: Ingredienti: 2 chilogrammi di petto di vitello intero, 300 grammi di carne di vitello e frattaglie, 8 uova, 300 grammi di verdure tra piselli, zucchine, carote, carciofi e funghi, 2 spicchi d’aglio, maggiorana, una noce di burro, parmigiano grattugiato q.b., sale e pepe. Pulite le verdure, tagliatele a striscioline e lessatele, oppure, a scelta, cuocetele a vapore o nel forno a microonde. Tagliate anche le frattaglie e, nel caso utilizziate anche le cervella e i filoni, sbollentateli in acqua per qualche minuto ed eliminate il sangue in eccesso e le pellicole che li rivestono. Cuocete, poi, tutti i pezzi di carne per la farcitura in un tegame in cui avrete fatto sciogliere una noce di burro, salate e pepate leggermente. Unite la carne alle verdure, aggiungete le uova, e tritate l’aglio e la maggiorana assieme a del sale grosso per poi incorporarli al composto di carne, uova e verdure. Aggiungete anche il parmigiano e mescolate il tutto accuratamente finchè non risulterà ben amalgamato, ed aggiustate di sale se necessario. Predisponete, quindi, la tasca cucendo i bordi con ago e filo bianco lasciando un’apertura di qualche centimetro per introdurre il ripieno. Prima di procedere alla farcitura, accertatevi di aver ben sigillato la sacca riempiendola con dell’acqua. Cominciate, dunque, ad inserire il composto di carne, verdure, uova e formaggio all’interno della tasca con l’aiuto di un cucchiaio facendo attenzione a fermarvi poco sopra la metà dell’”involucro” di carne per evitare rotture e fuoriuscite durante la cottura. Preparate il brodo vegetale, portatelo ad ebollizione ed immergetevi la tasca. Fatela bollire per circa due ore forandola di tanto in tanto con uno spillone in modo da ridurre la pressione interna, poi scolatela, sistematela su un piatto da portata e sottoponetela ad una leggera pressatura poggiandovi un tagliere con sopra dei pesi, in modo da far fuoriuscire l’acqua in eccesso. Una volta fredda, la Cima è pronta per essere tagliata e servita in tavola.

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