Tra le diverse domande che affliggono l’essere umano (Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo), ce n’è una in particolare che è necessario porsi durante il grande viaggio chiamato “vita”: perché le trofie hanno quella forma?
Contrariamente alle altre domande esistenziali, quella che riguarda la forma delle trofie ha persino la sua risposta concreta, un mix di fatti e leggende che, come nelle migliori ricette, danno vita a una storia da acquolina in bocca. Ma andiamo per punti e proviamo a scrivere, pezzo dopo pezzo, la biografia delle trofie.
Partiamo intanto con lo spiegare, per i pochi che non avessero mai avuto il piacere di godere di un loro assaggio, che le trofie liguri sono una pasta tipica, caratterizzata da una forma attorcigliata, sottile e allungata.
Fino a una cinquantina di anni fa, i genovesi utilizzavano il termine trofie per indicare gli “gnocchi”. Solo a partire dalla produzione industriale delle trofie e della loro diffusione in tutta la regione, a Genova si iniziò a differenziare la trofia dal gnocco.
L’etimologia della parola “trofia” viene attribuita, a dire il vero, a origini diverse: sembra che possa derivare dal genovese strufuggià, un richiamo al gesto adottato nella loro preparazione, che consiste nello strofinarle con la mano sul pianale per arricciarle; mentre secondo altre interpretazioni potrebbe derivare dal greco trophe, che significa nutrimento ma anche, nella derivazione trépho, volgere o torcere.
L’origine delle trofie viene fatta risalire a tempi antichissimi, addirittura al periodo storico delle crociate (XI - XIII secolo), quando i cuochi di bordo impastavano amalgame di farina e acqua e le strufuggiavano alla veloce sui pianali delle cambuse. Nel tempo sono approdate alla cucina locale del Levante ligure, dove le donne hanno iniziato a prepararle a casa, complici gli ingredienti semplici e facilmente reperibili: farina, acqua e un pizzico di sale.
La vera maternità del piatto viene oggi attribuita a Sori, la località del levante ligure da cui, una cinquantina di anni fa, alcuni commercianti locali ebbero la lungimirante idea di estenderne il commercio fino a Genova, dove questa pasta era ancora piuttosto sconosciuta. Il successo fu, ovviamente, immediato.
La tipica forma a truciolo, caratterizzata da un attorcigliamento della parte centrale che termina con due pendici più affusolate, garantisce le proprietà organolettiche della trofia e ne stabilisce la qualità. Questa forma è nota in Liguria come intursoeia e in passato veniva realizzata con il buffetto (cua bicelä), una sorta di ferro da maglia in legno, attorno al quale si arrotolava il filamento di pasta, che veniva poi schiacciato con il palmo della mano, dando vita così alla caratteristica forma irregolare delle trofie.
Le trofie classiche vengono lasciate rigorosamente al dente e condite come da tradizione: con il miglior pesto genovese. Nella versione “bastarda”, ovvero quella realizzata con la farina di castagne, possono essere condite con salsa di noci o salsa di pinoli. Infine, quelle al nero di seppia, non chiedono altro che un buon sugo di pesce in cui sguazzare.
Si abbinano bene a vini bianchi corposi e aromatici, possibilmente - per non uscire dal seminato, made in Liguria.
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